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SGUARDO INVERSO, 2019

cm 90x65 - Tecniche miste su tela

 

Il velo come sigillo di purezza, pudore, umiltà? Oppure per nascondere, separare, schiacciare, rendere invisibile? Il volto affiora nel silenzio, emerge da una lacerazione morbida della tela per trovare un respiro sottile. La sua segregazione prolungata però gli impedisce di collegarsi con ciò che è fuori, con quanto si muove intorno. Il suo sguardo è chiuso dietro la trama di un intreccio delicato, dall’esile texture. Il suo sguardo si proietta dentro, introspètto, solitario, muto spettatore di sé. Il viso costituisce un varco nella crosta dell'essere e l’indugio, come premessa allo svelamento, crea tenerezza perché quel volto è abitato.

La malinconia che trapela è solo il bisogno di rivolgere l'attenzione verso l'interno, dove il silenzio diventa soggetto contemporaneo, protagonista invisibile, che coinvolge e seduce.

Il silenzio assoluto, quello no, non esiste. Il silenzio parla ogni volta, un universo taciuto, atmosfera silenziosa e sospesa che si manifesta come bagaglio emotivo nei luoghi dell’anima e del suo “viaggio” terreno.

L’opera è in bianco. Un non-colore, ma anche l’insieme di tutti i colori possibili, di tutte le onde cromatiche che compongono la luce. 

“Il bianco ci colpisce come un grande silenzio che ci sembra assoluto”, definì Kandinsky. 

Il bianco come assenza di suono. Come luogo della purezza, luogo del niente o luogo dell’invisibile

Il bianco, dunque, può raccontare questa storia di silenzio, di nascondimento, di sottrazione progressiva fino alla soglia del nulla.

Ed è proprio con un esercizio di astrazione che la mia ricerca è cominciata, delimitando un luogo mentale, astratto. E la differenza, leggera ma decisiva, tra le due tonalità di bianco tra il volto e la tela che, increspandosi, lo contiene, sancisce l’esistenza di quel luogo protetto. Quasi invisibile. Quasi. L’effetto è di un letto sfatto, di uno velo steso ma corrugato, le cui pieghe svelano il movimento irrequieto di un sonno disturbato. E l’invisibile assume spessore e materia.

Il quadro, allo sguardo distratto appare come vuoto, come il foglio candido che blocca lo scrittore, come se io avessi predisposto che un pubblico potesse cercare nel bianco la traccia di qualcosa, perché al fascino, quasi mistico del bianco su bianco, non si resiste.

Le mie fonti di ispirazione possono essere ricondotte agli esperimenti in rilievo di Ben Nicholson degli anni Trenta. I pannelli di Robert Rauschenberg, a Piero Manzoni che ha increspato tessuti, nei tagli che Lucio Fontana operò sulle sue tele.

Van der Rohe amava dire “Dio è nei dettagli“.

Il mio lavoro è un insieme essenziale, dove la ricerca di una bellezza introspettiva risiede nell’indagine di un intreccio, nell’incastro di un taglio, nella raffinatezza della grana di un materiale e nella ricchezza del nulla rappresentato dal bianco.

Perché dietro quel non colore non c’è il niente, c’è solo qualcosa che è invisibile.

Che attrae e inquieta.

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